Restare a Kabul

Serve il coraggio di compiere delle scelte impopolari

di Luca Ferrini*

Come tutti, ho provato un senso di angoscia e d’impotenza davanti alle carcasse dei nostri blindati dilaniati da una overdose di tritolo. Sei giovani vite saltate per aria a migliaia di chilometri da casa. Insieme al sangue di afghani senza colpa, che semplicemente passavano di lì. A quella maledetta ora, in quel maledetto tratto di strada.

Di fronte a tale orribile visione, ho avuto la stessa reazione, istintiva, del ministro della Difesa La Russa. E quando questi, a botta calda, in Senato ha sillabato con controllata rabbia il suo "non ci faremo intimidire da questi vigliacchi", ho sentito forte l’orgoglio di essere italiano, commosso da quelle parole coraggiose.

Poi, invece, di lì a breve, la tragedia nella tragedia. La dichiarazione di resa incondizionata di Bossi, poi solo parzialmente smentita, cui facevano eco le inaspettate parole del Presidente del Consiglio. Il Senatùr che pretende un "tutti a casa". E Berlusconi irriconoscibile che, con ancora il sangue dei suoi parà sull’asfalto, vagheggia una "exit strategy" e dà il via ad un patetico braccio di ferro con gli alleati, sbrodolando su quanti soldati abbiamo noi e quanti soldati hanno gli altri. Neanche giocassimo a Risiko.

E’ dovuto intervenire il Capo dello Stato ad iniettare un po’ di fermezza nella posizione italiana. Una mezza picconata, a dire il vero: Napolitano è sì il capo delle Forze Armate, ma la politica militare la fa il Governo. Il Presidente, per fortuna, ha parlato. E lo ha fatto perché ha a cuore, prima di tutto, la dignità e l’onore del Paese. Altro che "Meno male che Silvio c’è". "Meno male che Giorgio c’è", dovrebbe essere il tormentone.

D’altronde, amici, cosa stiamo a fare in Afghanistan, come in altre parti del mondo? Difendiamo la Patria. Ma non (solo) la Patria che va dalle Alpi all’Etna. Una Patria globalizzata, i cui confini non sono più disegnati per terra o sugli atlanti, ma risiedono dentro il cuore e le menti delle popolazioni. Difendiamo una Patria che è fatta di mattoni ideali (magari a volte un po’ consunti o poco resistenti, ma vivi nelle intenzioni). Mattoni che si chiamano: democrazia, libertà di parola, libertà di stampa, libertà di religione, principio di uguaglianza, voto, scelta dei propri rappresentanti, separazione tra potere religioso e potere politico, economia di mercato, rispetto delle diversità…

Noi, caro Presidente Berlusconi, mandiamo i figli dell’Italia a combattere, sì a combattere (e dategli maggiore libertà di azione), perché questo edificio, costruito nei secoli con i mattoni della civiltà occidentale, possa resistere agli attacchi del nuovo medioevo, alla viltà e alla barbarie di chi è disposto ad assassinare innocenti su un altare insanguinato.

E allora, se così è, Signor Presidente, smettiamo per favore di inseguire l’umore di quattro pacifisti con la bandiera arcobaleno o di metterci a giocare con i carrarmatini colorati. Ella sia davvero il rappresentante di un popolo che ama la libertà: la garantisca anche ai popoli che non hanno la nostra fortuna.

Le porto un esempio pratico: oggi io posso andare a Sarajevo, dove le armi hanno taciuto e la convivenza pacifica è ristabilita. Perché lì c’erano e sono rimaste forze Nato, tra cui l’Italia. Oggi io posso andare in Kosovo, dove le armi hanno taciuto. Perché anche lì c’erano e sono rimaste forze di pace. A Mogadiscio, invece, è meglio evitare la visita. La situazione è ancora esplosiva e la gente muore di fame e di guerra. Ma da lì, Presidente, ce ne siamo andati. Ed ecco le conseguenze.

So che non tutti gli italiani sono favorevoli alle missioni militari. Ma una classe politica che non riesce a motivare, a spiegare alla propria gente le ragioni di una irrinunciabile scelta morale e strategica è una classe politica che merita di andare a casa. Tutta quanta. Ugo La Malfa una volta disse che l’impopolarità, spesso, è un dovere morale. Ma ci vuole coraggio. I nostri soldati lo hanno dimostrato. Lo dimostri anche chi ha il dovere di guidarci.

*Direzione nazionale del Pri